I tempi di crisi economica chiamano a sforzi inattesi.
Ogni situazione di difficoltà reca, però, un insegnamento e sollecita una riflessione sulle modalità e sulle soluzioni e gli assetti da attuare perché la crisi non si verifichi più o, comunque, non rechi più le medesime conseguenze devastanti.
Una risposta, in questo senso, è attesa, prima che dagli stati, dagli stessi operatori economici che, vivendo da vicino i problemi, possono individuare più rapidamente le contromisure.
È questa, del resto, l’idea alla base della corporate social responsibility; agire eticamente e responsabilmente per produrre un impatto positivo sulle comunità e sull’ambiente ovvero mitigare gli effetti negativi eventualmente legati alle attività produttive.
La recente crisi, rivelando il legame esistente tra tutti gli attori del mondo economico e persino tra paesi distanti migliaia di chilometri, ha confermato come sia questo il tempo di una assunzione di responsabilità da parte delle imprese, chiamate a prendersi cura delle relazioni con gli stakeholders e degli impatti che i propri comportamenti o attività possono generare, sia in termini positivi che negativi, sia sulla catena dei fornitori che sui clienti o i consumatori.
L’emergenza Covd-19 ha posto infatti agli operatori economici il problema della gestione del rischio sanitario e delle conseguenze economiche collegate.
La pandemia ha richiesto, infatti, una chiusura forzata della grandissima parte delle attività produttive e commerciali.
Un elemento emerso con chiarezza in questi mesi è la profonda interconnessione del mondo economico; emblematica, in questo senso, è stata in Italia la vicenda della individuazione dei codici “ateco” delle attività economiche consentite pur nel periodo di lock down. È risultato chiaro che la chiusura di alcune aziende appartenenti a codici ateco “minori” avrebbe, ciononostante, causato il blocco di intere filiere essenziali.
Il progressivo consolidamento della fase due mantiene viva l’attenzione sul c.d. new normal e le misure di contenimento e sicurezza nello svolgimento delle attività produttive che le imprese dovranno attuare.
L’attenzione delle autorità si farà, con tutta probabilità, più penetrante sul rispetto di prescrizioni sanitarie e delle norme sulla tutela della salute sul lavoro o, ancora, delle disposizioni a tutela dell’ambiente. Ugualmente, il recente passato manterrà alta la consapevolezza, tra le imprese, dei rischi connessi al blocco della cosiddetta supply chain.
La chiusura, per ordine dell’autorità, di un fornitore strategico che non abbia rispettato la nuova normativa sul contenimento sanitario potrebbe determinare gravi danni connessi all’interruzione dei flussi di approvvigionamento.
Uno strumento utile sarà allora l’inserimento, nei contratti di appalto o fornitura, di clausole dirette a controllare l’adozione, da parte del proprio fornitore, di tutti i presidi necessari per il rispetto delle misure sanitarie e la tutela dei lavoratori.
La tutela contrattuale potrà, nel medio lungo periodo, essere articolata anche secondo un piano inedito; per esempio, si potrà domandare al fornitore l’ottenimento di certificazioni rilasciate da enti terzi ed attestanti il rispetto di procedure e best practice in materia di tutela della salute dei lavoratori, organizzazione del lavoro e delle risorse umane, gestione delle tematiche ambientali o la conformità agli standard internazionali in materia di business continuity (quali l’ISO 22301).
La certificazione da parte di un soggetto terzo rappresenta infatti un utile test di verifica della conformità dell’impresa alle disposizioni legislative e delle normative tecniche di riferimento.
Inoltre, la perdita della certificazione rappresenta un elemento inequivocabile per l’operatività delle clausole di recesso, di risoluzione espressa o facoltizzanti la sospensione degli obblighi di pagamento del corrispettivo.
Evidentemente, ancor prima di divenire oggetto di clausole contrattuali, l’adozione di specifici standard internazionali può essere criterio di selezione tra i fornitori in fase di gara o negoziazione; si garantirebbe così l’ingresso nella catena di fornitura solo a quei soggetti attrezzati per rispondere alle emergenze o che assumano prassi operative conformi alle normative e quindi idonee ad evitare blocchi o sospensione dell’attività per ordine dell’autorità (in caso di violazioni di disposizioni cogenti) o per fatti accidentali.
Va detto che l’adozione di un simile approccio con i fornitori, nella fase di selezione o in quella contrattuale, è ancora più opportuno per le grandi imprese e, tra queste, tra i soggetti tenuti a pubblicare, ai sensi del d.lgs. 259/2016, una dichiarazione non finanziaria.
In questo senso, l’approccio contrattuale alla gestione del rischio sanitario o ambientale derivante dai rapporti con i fornitori è quindi, oltre che un mezzo di controllo del singolo rapporto, anche uno strumento di cura ed impegno verso tutti stakeholders e le comunità in cui le imprese operano.